L'appartenenza ad una famiglia, un gruppo sociale, una nazione, una cultura è
ciò che crediamo ci determini. In parte è così, nel senso che parliamo e
pensiamo attraverso una lingua, creiamo dei legami che si fondano sulle nostre
prime esperienze affettive, ci battiamo per una o l'altra causa in base a ciò
che il nostro vissuto ci fa definire giusto o sbagliato. Ma se guardiamo più in
fondo ci accorgiamo che tutto ciò che ci definisce, ovvero l'appartenenza, ha in
sé un paradosso. Per convalidare la mia appartenenza devo continuamente
confermare me stesso attraverso azioni e pensieri che mi permettono di restare
all'interno del conosciuto. In pratica ristabilisco a priori un ordine che mi è
stato trasmesso senza verificarne le fondamenta. Per fare un esempio estremo
potremmo dire che chi ha conosciuto l'abuso ripeterà la stessa modalità perché
questo lo confermerà nella fedeltà alle modalità introiettate. Ognuno di noi
ripete ciò che ha vissuto, sopratutto se si tratta di contenuti inconsci. Cosa
succede a chi cerca di fare qualcosa di diverso da ciò che ha introiettato?
Proverà un senso di colpa viscerale che lo immobilizzerà sul confine.
Attraversare
il limite del conosciuto è la proibizione fondamentale che ognuno di noi porta
in sé senza saperlo. In qualche maniera percepiamo che andare oltre richiede uno
sforzo che supera le capacità individuali, ed in un certo senso è così. Se
pensiamo ai momenti in cui siamo stati colti da un' ispirazione, un incontro, un
paesaggio, ci rendiamo conto che il rapimento si manifesta in uno spazio neutro,
vivo, sconosciuto. In quei momenti passato e futuro hanno poco significato ed
anche lo spazio assume una forma relativa. E' il motivo per cui le grandi opere
d'arte sfuggono al tempo. Pensiamo a Vivaldi, Mozart, Caravaggio, Botticelli,
sono opere concepite molti decenni indietro,eppure sfuggono al tempo. Questo
accade perché chi le ha create ha superato se stesso materializzando un
'appartenenza all'umano che lo supera e lo include. L'arte ci indica una strada
e ci permette di spiegare meglio cos'è un appartenenza risanata. Perché sia
chiaro è necessario comprendere come agisce il senso di colpa. Ogni volta che ci
si trova sul limite del conosciuto il senso di colpa farà si che io crei un
azione autosabotante. La colpa è un meccanismo di mantenimento dell'io, poco
importa se ci mantiene in un 'individualità soffocata, disturbante, sofferente.
Lo scopo della colpa è mantenere intatta l'appartenenza al proprio mondo
individuale e separato. La cosa incredibile è che l'azione autosabotante in
genere viene compiuta in modo da sembrarci logica e corretta, ci sembra così
perché la vediamo dal punto di vista della nostra appartenenza individuale. In
pratica mentre ci facciamo lo sgambetto siamo certi che stiamo facendo la cosa
migliore per noi stessi. Questo è il paradosso dell'appartenenza. Ecco perché
per attraversare il limite è necessario ampliare la propria umanità includendo
anche ciò che non si conosce, ciò che ci rapisce. Non è mai un azione dell'io il
superamento del confine. Solo facendosi portare da ciò che tocca nel profondo,
che non appartiene alla dimensione dello spazio e del tempo, è possibile
oltrepassare il confine. Chi supera il proprio limite lo riconosce perché si
scopre abitato dalla stessa bellezza senza tempo che i grandi artisti hanno
materializzato. Forse non avrà bisogno di rappresentarlo attraverso un'opera,
non sarà necessario, perché oltre il confine si scopre che ogni essere umano è
bellezza vivente reso tale da quelle stesse caratteristiche che lo soffocavano
quando servivano a mantenere un'appartenenza limitata. Non è ciò che ci è
accaduto di difficile nella vita che c'impedisce di vivere in una dimensione
aperta, semplice, costantemente rinnovata, è il voler mantenere ciò che ci ha
ferito immobile, intatto, indiscutibile. Aprirsi al nuovo che si crea istante
dopo istante presuppone uno sforzo cosciente. Bisogna avere il coraggio di
restare sul confine più e più volte. La bellezza ha bisogno di farsi amica della
colpa, riderci insieme, accorgersi che c'è un tempo per retrocedere ed un tempo
in cui "essere"è l'unica cosa che rimane.